Un perfetto mix di arte, cultura, natura e avventura. Un grande classico per tutti noi che viviamo a Lecce, tant’è che andare ad Acaya la domenica mattina equivale ad andare in piazza sant’Oronzo, per il gran numero di ciclisti che si incontrano lì all’ora della colazione. Arrivare ad Acaya, tra l’altro, adesso è anche più facile e comodo per chi pedala, grazie alla nuova strada provinciale in direzione Melendugno, che ha una complanare con un asfalto perfetto per chi va in bici.
Si arriva quindi in scioltezza in questa piccola cittadina fortificata, dove il tempo sembra davvero essersi fermato. Lontana da ogni speculazione edilizia, Acaya si è mantenuta nel corso del tempo stretta nelle sue mura medievali, delineate da tre antichi bastioni angolari e dal bel castello con accanto la grande porta urbica che segna l’ingresso al borgo. Sulla porta svetta la statua di Sant’Oronzo, protettore della cittadina. Fu Gian Giacomo dell’Acaya, regio ingegnere militare di Carlo V, divenuto possessore del feudo di Acaya, a decidere di fortificarla nel 1535, prevedendo attacchi dal mare visto la vicinanza, trasformando così l’antico borgo di Segine, in quella che oggi è l’unico esempio di città-fortezza della Puglia. Pedaliamo proprio al centro della cittadina, e non possiamo non notare un’altra grande particolarità di Acaya; le stradine del centro storico sono tutte tra loro parallele, con stessa larghezza, uguale distanza e anche più o meno stessa lunghezza.
Lasciamo Acaya e andiamo verso la Riserva naturale delle Cesine, gestita dal WWF. Quest’area protetta rappresenta una delle zone paludose che si estendevano da Brindisi fino a Otranto. Pedaliamo al fresco degli alberi, pini d’Aleppo e pini domestici. Ma quest’area è sorprendente soprattutto per le specie di uccelli che popolano in diversi periodi dell’anno gli ambienti paludosi; dal cormorano all’airone, la folaga, il moriglione (simbolo stesso della Riserva), e tanti altri. Ovviamente anche tanti mammiferi, rettili, anfibi, etc; e come dimenticarli, ci sono anche i cinghiali che ho avuto il piacere di vederli a distanza, ahimè, molto ravvicinata più volte, e spesso con cuccioli. Nell’oasi vi sono due stagni, Salapi e Pantano grande, separati dal mare da un cordone di dune sabbiose, e qui, se le temperature lo permettono, è facile mollare un attimo la bici per regalarsi pure un bel bagno!!
Pedalando per nemmeno un chilometro, e tenendo il mare sulla destra arriviamo a San Cataldo, la marina dei leccesi. Piacevole d’inverno e molto affollata d’estate per via degli stabilimenti balneari, ci permette di salutare il nostro mare. Arriviamo al romantico faro sorto accanto al vecchio molo di Adriano, dove nel 44 a.C. sbarcò Ottaviano diretto a Roma, dopo aver appreso la notizia della morte di Cesare. Adriano decise poi, anni dopo, di ricostruirlo e fortificarlo, un po’ perché era vicino ai porti di Brindisi e Otranto, ma meno oggetto di invasioni, un po’ perché era vicino alla prosperosa Lupiae (la romana Lecce). In effetti San Cataldo, grazie alla sua posizione strategica, fu sempre considerato un buon punto mediano tra Oriente e Occidente per gli scambi commerciali, o semplicemente per attraccare le navi in caso di tempesta. Visse fasi alterne nella sua storia. Abbandonato, divenuto palude e infestato dalla malaria, e poi ripreso più volte, visse un momento glorioso quando Maria D’Enghien allargò il molo e vi fece costruire la torre, e successivamente, tra la fine del Ottocento e i primi anni del Novecento, quando fu costruita una tramvia che, partendo dal capolinea ubicato in piazza sant’Oronzo permetteva, ogni 45 minuti, di sbarcare proprio accanto al vecchio molo di Adriano (bellissime testimonianze di questo passato si possono trovare al Museo Ferroviario della Puglia, nei pressi della stazione a Lecce). Cosicché anche i leccesi avevano finalmente una propria ed elegante località balneare al pari delle vicine Gallipoli, Santa Cesarea e Otranto.
Ultima parte di questo giro ad anello ci offre uno spaccato decisamente un po’ più wild, perfetto per una gravel. Dopo pochi metri sulla provinciale ci immergiamo nella macchia mediterranea per imboccare un sentiero sterrato, che passando tra le campagne colorate di corbezzolo, cisto, ginestra, lentisco e i tanti alberi di querce ed ulivo ci portano alle porte della nostra città.