Soggiornare qui è un invito a nozze per chi ama la bici. Fin dalle prime ore del mattino si sente il fruscio di tanti ciclisti che si allenano per le strade. Sono tanti, leggeri e molto tecnologici. Ma ci sono anche persone del posto che fanno compere in bici o si spostano per lavoro da un paese all’altro con una bici a pedalata assistita. (I dislivelli sono dietro l’angolo e per chi abita qui credo sia quasi scontato averne una!).
Partiamo anche noi al mattino presto, direzione Cesio Maggiore, piccolo comune con meno di 4.000 abitanti che svetta sulla piccola vallata con il suo bel campanile. Cesio è conosciuto anche come il paese del ciclismo perché, grazie ad una intuizione di Sergio Sanvido, ogni strada ha due nomi, uno ufficiale e uno dedicato ad un eroe del ciclismo. Visitiamo qui il Museo Storico della Bicicletta, inaugurato nel 1997, voluto dallo stesso Sanvido come omaggio al campione veneziano di ciclismo Toni Bevilacqua (detto Labròn per il caratteristico labbro sporgente).
Riporto un pezzo dal sito del Museo dove se ne racconta la genesi : <<Il Museo di Cesiomaggiore nasce da un incontro di strada. Basta questo in Val Belluna per produrre la folgorazione, per trasformare un ragazzo in un artefice più alacre di Dedalo…Sergio Sanvido un giorno, mentre pedalava, incontrò Toni Bevilacqua, il campione del mondo dell’inseguimento, il vincitore della Roubaix. Era diretto verso Croce d’Aune. Si accodò, lieto di stare alla sua ruota”. Giunti a Pedavena, Sanvido lo salutò, ma Toni lo invitò a mangiare con lui. “Fu un incontro di cavalieri. Produsse la conversione. Sanvido restò folgorato come San Paolo sulla via di Damasco. Legò alla biciletta la sua vita. Fece fortuna. Per mezzo secolo ha collezionato bicilette. Ha creato il museo. In ricordo di quell’incontro di strada lo ha chiamato Museo Toni Bevilacqua”.>>
Sergio Sanvido è un maestro artigiano, la cui grande passione per la bicicletta e per il ciclismo lo ha portato a diventare un grande collezionista, nonché restauratore e ricercatore di bici nel mercato antiquario, fino a raccoglierne ben 180 esemplari che compongono ora il nucleo centrale della collezione del museo.
Saliamo le scale e subito è un tuffo nella storia del nostro Paese. Sulle pareti sono affisse le spettacolari copertine della “Domenica del Corriere” disegnate da Achille Beltrame tra il 1900 e il 1945 e altre foto d’epoca delle prime biciclette popolari usate sia in città che in campagna con alcuni esemplari di bici da lavoro, utilizzate fino agli anni ’50, tipo il carrettino usato dai gelatai bellunesi per andare su e giù per le montagne.
Nelle prime sale si trovano alcuni prototipi di celerifero in legno dipinto di fine Settecento, due bicicli Michaux, che rappresentano le prime macchine a pedali, e pure alcuni grand-bi. Sicuramente all’inizio più che un ciclista bisognava essere un equilibrista per poterci salire su.
Le biciclette raccolte da Sergio provengono veramente da tutt’Europa e sono di tutti i generi: si va dalle biciclette per bambini ai tricicli, alle bicilette usate dai pompieri, a quelle dei postini, dell’arrotino, e addirittura alcuni esemplari in uso nell’esercito.
Ovviamente si arriva ai giorni nostri con le biciclette sportive, legate ai grandi campioni del ciclismo: Coppi, Bartali, Nencini, Moser, Pantani, solo per fare alcuni nomi, con relativi cimeli e memorabilia, e le immancabili maglie firmate dai campioni.
“Sulla strada il povero può battere il milionario” Maurice de Vlaminck
Dopo questa bella e interessante visita riprendiamo a pedalare. Attraversiamo piccole frazioni, dove immancabile è sempre una piccola chiesetta e una fontana pubblica. Non è una ciclovia vera e propria ma più un percorso per ciclisti che consente, in molti punti, di evitare il traffico sulla provinciale e di apprezzare la quiete delle strade comunali che collegano i vari paesi. Noi seguiamo religiosamente la segnaletica, ovviamente presente ovunque, dedicata alle biciclette.
Dove siamo diretti? Alla birreria Pedavena ovviamente!!! Per qualche motivo a me ancora sconosciuto chi va in bici sogna ad occhi aperti una birra ogni 20 km ( o forse meno ?!), e quindi…tappa obbligatoria per una felice e quanto mai attesa degustazione !
Facciamo poi un giro a Feltre: la parte alta è molto caratteristica con le viuzze tutte acciottolate tra in palazzi ducali. In età imperiale è stata municipium e ha avuto un notevole sviluppo economico ed urbanistico grazie anche alla vicinanza con l’importante Via Claudia Augusta, strada che da Altino, sulla Laguna Veneta, portava, attraversando Trento e il Brennero, fino ad Augusta Vindelicum (l’attuale Augusta, in Baviera), motivo per cui incontriamo anche molti tedeschi e austriaci che scendono verso la laguna veneta. Con il tempo la città divenne importante sede per le congregazioni di artigiani, di centonari (addetti al riciclaggio di vesti usate e scarti di lavorazione della lana, le centones, antenati dell’attuale feltro che da il nome alla città) e ovviamente di dendrophori (boscaioli, artigiani, mercanti e trasportatori di legname).
Ma Feltre, così come tante altre località durante la prima e la seconda guerra mondiale, è stato anche teatro di occupazioni, guerre, massacri e, in ultimo, resistenza antifascista. Il territorio feltrino fu un’importante zona operativa delle formazioni partigiane organizzate nel Battaglione “Zancanaro” della Brigata Garibaldina Antonio Gramsci, dove molti feltrini pagarono con la propria vita la loro attività antifascista.
Dalle bandiere esposte davanti i palazzi ci ricordiamo che a Feltre si svolge, dal 1980 un importante Palio, detto anche Palio dei Quindici Ducati, per evocare l’entrata della città di Feltre nella Repubblica di Venezia, le cui quattro sfide sono la staffetta, il tiro con l’arco, il tiro alla fune e la corsa dei cavalli.
Dopo Feltre pedaliamo dritti verso casa, ma prima una tappa obbligatoria al caseificio Latte Busche, sulla provinciale Feltre- Belluno che proprio quest’anno celebra i 70 anni di attività.
Partita come piccola azienda locale, nel corso degli anni, ha alimentato l’idea di raggruppare i piccoli allevatori locali al fine di lavorare il latte “a turno” presso un unico “casello”. La tradizione dell’allevamento del bestiame da latte nasce durante il declino della Serenissima Repubblica di Venezia, ed è sempre stata la più valida e naturale alternativa produttiva della Val Feltrina. E anche dopo, nel secondo dopoguerra, in corrispondenza degli sviluppi socio-economici del periodo, quando altre piccole realtà entrarono in crisi e furono destinate a chiudere, qui gli allevatori locali reagirono decidendo di associarsi, dando vita ad una realtà casearia protagonista del territorio di cui tutti vanno orgogliosi. Più volte abbiamo acquistato formaggi di ogni tipo, ma oggi pomeriggio ci fermiamo per chiudere il nostro giro in bici con un bel gelato di cui, considerato che è fatto in un caseificio, vi lascio solo immaginare la squisitezza.
Abbiamo pedalato sotto le cime delle Dolomiti Bellunesi, siamo andati su è giù per la Val Feltrina, gustato una birra ottima, e chiuso con un gelato buono come pochi.
Torniamo a casa, felici, pieni di soddisfazione e bellezza.
qui la traccia=https://www.komoot.com/it-it/tour/1855415829?share_token=atyDsW9NkJfTzVgkwT38rt9elNcKeR7TzHZ5tMrbEuVERVGc5Z&ref=wtd