Per me, il suo nome è una garanzia. Che parli di alberi, animali, aneddoti o altro, le sue parole mi prendono e mi buttano nel mezzo della scena raccontata. Uno scrittore magico, che è prima di tutto un forestale.
Daniele Zovi nelle sue storie di orsi, sciacalli, lupi, gatti selvatici, cinghiali e altri animali, ci racconta un pezzo di Italia Selvatica che non è facile da conoscere, per lo meno per chi non è del mestiere. Parla con confidenza di animali che probabilmente non abbiamo mai visto da vicino , e che , almeno per alcuni di noi, non vedremo così facilmente, perché schivi, e perché viviamo, noi, in contesti del tutto urbanizzati, lontani da habitat selvatici. Animali un po’ mitologici, come gli orsi e i lupi, ma che spesso purtroppo sono anche vittime dell’uomo stesso, come sta accadendo ultimamente in Italia.
Zovi scrive di quando ha avuto l’opportunità di entrare in nella tana di una mamma orsa; una cavità naturale nella roccia, lunga quattro metri e larga uno e mezzo, dove per entrare è stato necessario inginocchiarsi. Una tana, fatta di foglie, rami di abeti e faggi, di erba secca ed erica, dove probabilmente questa mamma orsa ha partorito i suoi cuccioli, e dove ha passato l’inverno proprio come fanno gli orsi, con lunghi mesi di inattività, per ridurre la loro temperatura corporea e risparmiando quindi energia, fronteggiando così periodi di scarsa presenza di vegetali e di temperature rigide. Che emozione dev’essere stata, essere lì, nello stesso punto dove l’orsa ha dormito con i piccoli per lunghi mesi, prima di uscire dal nido ed esplorare l’altopiano di Asiago. Gli insegnerà poi ad arrampicarsi sugli alberi, a scavare i tronchi abbattuti per terra alla ricerca di larve di insetti e a cercare bulbi e radici raspando la terra.
Famiglie di orsi che vengono poi controllati con il radio collare, perché spesso , diventando troppo confidenti, si avvicinano all’abitato creando scompiglio. Proprio tramite il radiocollare e le fototrappole spesso si riesce a scoprire come trascorrono le giornate, quali sono i loro spostamenti, spesso lunghissimi, che li portano a sconfinare in più regioni, le loro tecniche di accoppiamento, quando sono spinti a lottare, come fanno ad interagire con gli altri orsi. Un mondo che rimane per alcuni versi nelle storie immaginate o raccontate, che si fa reale appena si va nel bosco e ci si imbatte in un’impronta, o in un rumore dietro le fronde degli alberi.
Un altro animale che mi sono sempre chiesta se mai riuscirò a vederne uno, è il gatto selvatico. “Tutti i gatti hanno un unico progenitore”, scrive Zovi. Dai gatti divinità come quelli venerati dagli egiziani, ai nostri gatti domestici, europei, persiani, certosini, tutti condividono lo stesso antenato comune, il Felis silvestris silvestris, ovvero il gatto selvatico, che non ha cambiato né aspetto né abitudini e le sue zampe lasciano sulla neve le stesse impronte dei gatti domestici, ma di sicuro sfugge all’uomo, rimanendo abile nella caccia e conservando integralmente la sua selvaticità. Sempre di color ocra, striato come i soriani, si muove sinuoso nella fitta vegetazione, nascondendosi tra le rocce e arrampicandosi sugli alberi alla ricerca di nidi da predare. Si tiene ben lontano dall’uomo, tant’è che non c’è alcun censimento che ci dica quanti ce ne possano effettivamente essere in Italia, e sono davvero in pochi ad averne avvistato uno. Vive principalmente lungo la dorsale appenninica, e la sua pelliccia, cacciata per molto tempo, è fortunatamente tutelata dal 1977. Insomma, il nostro gatto prima dell’umanizzazione perpetrata a suon di coccole e divano!!!
Un bellissimo libro su questi “ fantasmi del bosco “ , primitivi e selvatici, che noi, fortuna loro, non siamo ancora riusciti a trasformare a nostro uso e consumo.