Ai miei occhi il paesaggio della Valle d’Itria ha da sempre qualcosa di fiabesco, di magico. Qui non stona mai niente, e devo dire, godo felicemente dell’assenza di ecomostri che invece spesso ci ritroviamo nel resto del territorio pugliese.
Tra l’altro è un territorio che felicemente ha iniziato ad ospitare da qualche anno diversi cammini; la Rotta dei due mari, che dall’Adriatico porta allo Jonio, il Cammino Materano nella sua variante della via Ellenica, camminando nelle terra delle gravine da Matera a Brindisi, e giù verso la costa la via Francigena del Sud ; sempre più spesso, infatti, tra i muretti a secco e le piccole doline della zona , si notano gruppi di camminatori attrezzati con zaini e bastoni da trekking.
Questa giornata, nell’arco di una settimana a piedi tra la valle d’Itria e la murgia materana, sarà dedicata a camminare sul tracciato di quella che è , e spero sarà sempre più completa, la ciclovia dell’Acquedotto Pugliese.
Una delle più grandi opere di ingegneria idraulica del mondo e sicuramente una delle prime opere pubbliche del sud Italia, fu fortemente voluta da politici e agronomi nei primi anni del Novecento per risolvere l’annoso problema della penuria di acqua nella regione. Non erano ormai più sufficienti le riserve di acqua piovana né per fini agricoli, né tantomeno per l’uso domestico. Arida e assetata di acqua, la Puglia iniziò a ricevere l’acqua corrente, direttamente dalla sorgente del Sele, in Campania, solo poco prima della seconda guerra mondiale.
Iniziamo a camminare dall’ingresso nei pressi della frazione di Coreggia, frazione di Alberobello, immergendoci subito in un piccolo boschetto. Tutta questa zona è piuttosto silenziosa, ma appena si entra nel bosco, il silenzio si fa ancora più intenso; tante sono le querce, e in mezzo alle tante foglie colorate cadute per terra, le piccole meraviglie del sottobosco, come il crocus, bellissimo fiore citato anche da Eugenio Montale:
“Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato…”
Camminiamo su un percorso che si snoda tra gli arbusti della macchia mediterranea e le campagne coltivate. Tanti anche gli alberi di corbezzoli lungo questo viadotto, fiore nazionale, avendo tutti i colori della bandiera tricolore; verde le foglie, bianchi i fiori e rossi i frutti.
Le case che costeggiamo hanno tutte inglobato nel tempo vecchi trulli, testimoni della vita contadina pugliese, e molte di queste sono ormai strutture ricettive. Dormire in un trullo è sì possibile come ai vecchi tempi, ma con i comfort di oggi.
Spesso il sentiero ci porta a camminare sui ponti della stessa conduttura dell’acquedotto, che costruiti in quelli anni, consentivano di non interrompere lo scorrere dell’acqua.
Ci avviciniamo pian piano a quello che è chiamato il canale di Pirro. Ora, è facile pensare al canale come ad un corso d’acqua e a Pirro come al re dell’Epiro, famoso per le sue guerre contro Roma, ma nessuna delle due ipotesi può dirsi vera. Il canale si riferisce piuttosto alla particolare conformazione del terreno e a questa lunga valle (circa 12 km di lunghezza con profondità anche di 100 metri) incastonata tra le colline calcaree, dove, grazie al ristagno di acqua crescono copiosi vigneti, ulivi, frutteti e altre coltivazioni. Il nome Pirro invece pare che derivi dalle pile, dette localmente pire, ovvero le cisterne, presenti nella zona, che venivano utilizzate per raccogliere l’acqua piovana che confluiva dai fianchi delle colline.
In lontananza iniziamo a scorgere la sagoma di Locorotondo; forse uno dei paesi più suggestivi di tutta la valle d’Itria, con ben 146 contrade, e in una addirittura si conserva il più antico trullo pugliese (1509).
Il caratteristico centro storico, con le tipiche “cummerse”, è all’origine del nome Locus Rotundus, proprio perché racchiuso dalla strada muraria di forma circolare che, ironicamente , ora è conosciuta come il “Lungomare” in quanto si affaccia sulla Valle d’Itria regalando un romantico panorama; è questo un luogo senza tempo, dove i trulli, i vigneti, gli alberi di ulivo secolari, uniti ai paesini di calce bianca e ai profili ondulati del territorio, descrivono perfettamente il fascino rurale e la bellezza naturale di questa parte di Puglia. Il nome di questa valle, che poi valle non è ma più che altro una depressione carsica situata tra le province di Bari, Taranto e Brindisi, deve il suo nome al culto della Madonna Odegitria (dal greco Hodegetria, “colei che indica la via”) diffuso durante la dominazione bizantina del Sud Italia, che tanto ha lasciato non solo nei nomi dei luoghi ma anche nelle tradizioni religiose e nelle arti.
Terminato il nostro cammino per la giornata di oggi, ricarichiamo le energie sedute ad un tavolino di un bar, e dal terrazzo che dà sulla valle, e contempliamo i bellissimi vigneti terrazzati ai nostri piedi con, in lontananza, i profili di Martina Franca e Cisternino.
Vi è un incanto nei boschi senza sentiero.
Vi è un estasi sulla spiaggia solitaria.
Vi è un asilo dove nessun importuno penetra
in riva alle acque del mare profondo,
e vi è un armonia nel frangersi delle onde.
Non amo meno gli uomini, ma più la natura
e in questi miei colloqui con lei io mi libero
da tutto quello che sono e da quello che ero prima,
per confondermi con l’universo
e sento ciò che non so esprimere
e che pure non so del tutto nascondere.
Lord Byron