Antropologia sentimentale della bicicletta

Incontrare altri cicloviaggiatori con borse e tende e salutarli con un gran bel sorriso è la cosa che mi più mi esalta del viaggiare in bici.

Sarà perché siamo consapevoli di fare una cosa bella, avventurosa, rilassante, semplice ma con il sapore della libertà, oppure è quel briciolo di presunzione che abbiamo quando ci rendiamo conto che non stiamo inquinando, consumando, spendendo soldi, e allo stesso tempo stiamo vedendo quello che altre persone, chiuse nell’abitacolo nella loro macchina, non vedono. Ci sentiamo felici della nostra stessa scelta e non abbiamo affatto voglia di nasconderlo.

Perché viaggiare in bici è una scelta.

David Le Breton, nel suo “A ruota libera” ripercorre l’evoluzione del ruolo che noi stessi abbiamo dato alla bicicletta. Da strumento di scoperta del mondo di quando si è bambini, che ci ha permesso di fare le nostre prime brevi esplorazioni oltre il nostro giardino, a strumento di rottura con tutto ciò che oggi giorno va veloce, troppo veloce, che fa rumore, che aliena le nostre vite, che ci distanzia. Siamo arrivati ad un tale punto di burn-out che non è più accettabile rimanere a lungo intrappolati nel traffico e vedere il mondo scorrere fuori dal finestrino.

Le- Breton

D’altronde che la si usi per passeggiare, escursioni, trasporto, lavoro, o competizione comunque la bicicletta favorisce gli incontri. È multirazziale, democratica, egualitaria, multidisciplinare, asseconda sempre chi la guida, segue il ritmo, le forme, le volontà di chi la sta pedalando in quel momento.  Ed eccoci qua a ritrovare il gusto della scoperta, dell’impegno fisico, del cambiare percorso all’ultimo secondo, del movimento ora lento ora più veloce. Non incontriamo ingorghi, non dobbiamo preoccuparci di trovare parcheggio (sorvolo sul problema in alcune città delle rastrelliere spesso assenti o inadeguate ), e il tempo lo guadagniamo per davvero, al contrario della macchina che, nata per velocizzare gli spostamenti, li ha resi di fatto più lenti e complicati.

Ho trovato interessante il punto in cui si analizza quello che accade nelle città in relazione al triangolo automobili-biciclette-incidenti. Tanto più sono le persone in bici in un luogo tanto meno incidenti accadono. La massa critica regolarizza la circolazione, la sicurezza, la rende fluida;  i comportamenti stradali degli automobilisti diventano man mano  più civili se le proporzioni auto-bici-pedoni si allineano. Il concetto de “la maggioranza delle persone” riferita alle automobili svanisce, anzi, in alcune realtà viene addirittura totalmente ribaltato. L’auto, intesa come uno spazio privato che occupa lo spazio pubblico viene finalmente messa in discussione.

Quello dei comportamenti stradali è quanto mai un argomento scottante, soprattutto in questi giorni, e soprattutto in Italia, ancora vittima della morsa del traffico automobilistico e spesso dell’ignoranza dei politici, dove l’auto è ancora status di ricchezza, posizione sociale ed economica, ma soprattutto unica possibilità di movimento.

Dice bene Le Breton  quando afferma che il codice della strada dovrebbe essere un codice di civiltà, di mutuo riconoscimento tra gli utenti, a cui deve essere aggiunto un codice della via, valido per tutti, anche per i veicoli elettrici e alternativi.

Un libro che finalmente ho avuto il piacere di leggere e che conservo con estrema cura nella mia libreria.

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