A piedi lungo la Via Francigena del Sud

Non so bene cosa sia, perché poi tecnicamente le giornate trascorrono più o meno simili, ma camminare sulla Via Francigena e fare una settimana di trekking hanno sapori diversi. Forse è il bagaglio storico, culturale e religioso di un antico pellegrinaggio che regala qualcosa di “comunitario”, che avvicina persone lontane. È un’emozione in più che si aggiunge nello sguardo delle persone il primo giorno, quando solitamente durante il welcome”,  quando Marco (https://www.slowactivetours.com ) ci consegna le credenziali che ci accompagneranno per i giorni a venire, ci presentiamo, dicendo il nostro nome, la provenienza, ma soprattutto quali altri cammini si è percorso.

Prima ancora dei timbri e delle credenziali ci sono i chilometri percorsi ad avvicinare i camminatori.

  1. Lecce – Vernole

Iniziamo il nostro cammino uscendo lentamente dalla città e avanzando verso la campagna leccese. Lasciamo la città con ancora negli occhi la calda luce della pietra leccese che illumina i palazzi in stile barocco del centro storico. La nostra prima tappa, o meglio la nostra prima tappa-caffè, è Acaya, piccola cittadina fortificata, che in realtà coincide un po’ con il suo castello. Proseguiamo, accompagnati dalle nostre prime chiacchere, verso altri piccoli paesi come Acquarica e poi Vernole, camminando un po’ a zig-zag lungo i muretti a secco che delimitano gli appezzamenti di terra, da dove, un po’ incuriositi, i contadini ci salutano sempre molto sorpresi nel vedere un gruppo di persone, sempre tutte molto colorate e accessoriate, fare quello che loro hanno fanno per anni con molti meno accessori, e cioè, camminare. Il gruppo è subito incuriosito dalle pagghiare, queste strane costruzioni, un po’ come delle piccole piramidi tronche, di pietre a secco, che i contadini stessi usavano come ripostiglio per i loro attrezzi o semplicemente come giaciglio per un riposo pomeridiano, necessario durante una lunga giornata di lavoro in una terra baciata dal sole per moltissimi mesi all’anno.

pagghiara

 

  1. Vernole – Carpignano

D questa seconda tappa, purtroppo, compagni del nostro cammino sono i poveri alberi d’ulivo fortemente colpiti dalla Xylella a cui tutti noi guardiamo davvero con molta sofferenza. È come se il paesaggio di questa parte di Puglia fosse cambiato per sempre, e possiamo solo sperare che non vengano fatti più gli errori del passato. Per fortuna, nel piccolo boschetto vicino la piccola cittadina di Calimera, incontriamo piccoli alberi di leccio che ci ricordano come doveva essere un tempo tutta questa terra prima ancora dell’arrivo dell’ulivo. Troviamo molto piacevole fare una pausa a Martano con il suo bel centro storico, il palazzo marchesale e le tante piccole case a corte, primi nuclei abitativi allargati di un tempo. Martano inoltre è uno dei tanti piccoli centri della cosiddetta Grecìa Salentina, isola linguistica ellenofona del Salento, dove ancora molto sentito è il legame con la passata presenza bizantina, tant’è che tanta gente ama ancora parlare in griko (una lingua di origine greca). Ultimi passi e ci fermiamo per la notte a Carpignano Salentino.

  1. Carpignano – Palmariggi

Una tappa interessante, questa di oggi, per chi del gruppo è un appassionato di storia. Nel tratto tra Carpignano e Serrano incrociamo più volte frammenti della via Traiana Calabra, usata dai Romani per alimentare i loro commerci con l’Oriente sfruttando i tanti porti sul Mar Adriatico. Scollinando il piccolo borgo di Serrano arriviamo nella piccola Cannole, e decidiamo di fermarci per mangiare un veloce panino, nel Parco della Masseria Torcito, all’ombra della pineta su una delle tante “panchine pellegrine”. Anche qui la storia, l’economia del tempo e le tradizioni si intrecciano: accanto alla masseria omonima, risalente al XII sec. ma fortificata nel XVI sec. per contrastare le invasioni ottomane, troviamo una cripta, un frantoio ipogeo, dei granai, delle neviere per la conservazione del cibo e una torre colombaia. Godendo del sentiero sterrato che finalmente prende il posto dell’asfalto (purtroppo qui un po’ ovunque) arriviamo al Santuario della Madonna di Monte Vergine sulla collinetta di Palmariggi; scendiamo nella cripta dove, secondo leggenda la Madonna sarebbe apparsa ad un pastorello, e, indipendentemente dal proprio credo, rimaniamo colpiti dal silenzio, dalla spiritualità e dalla pace di questo luogo. Dormiamo questa volta a Palmariggi, dove siamo sempre il gruppo più chiassoso del paese.

panchina pellegrina

 

  1. Palmariggi – Otranto

La tappa di oggi ci porta fino a Otranto: sentiamo che in qualche modo siamo un po’ a metà del cammino verso Leuca. Partiti da Palmariggi entriamo nel cuore di quello che è chiamato il Giardino megalitico del Salento: ci fermiamo per ammirare dolmen e menhir sparsi nelle campagne, a testimonianza del fatto che molti anni prima dei Romani e dei Messapi, l’uomo ha vissuto qui e ha utilizzato la pietra per comunicare: i menhir per segnalare vie e crocevia importanti e i dolmen per creare luoghi per rituali sacri. Alle porte di Giurdignano, ci accoglie un menhir unico nel suo genere, posto all’ingresso di una piccola cripta dove sulle pareti ritroviamo San Paolo, santo devoto da queste parti, protettore delle donne tarantate. Iniziamo a scendere un po’ di livello lungo i lati del piccolo fiume Idro, che ci porta fin dentro il cuore di Otranto (un tempo chiamata appunto Hydruntum). Otranto ci piace: ma non è solo per il mare o le mura Aragonesi che stringono il centro storico. Se esiste una via Francigena del sud è perché tanti anni prima del viaggio di Sigerico, un pellegrino di Bordeaux, di ritorno dal viaggio in Terra Santa, è approdato al porto di Otranto e ha iniziato a riportare nel suo diario, l’Itinerario Burdingalense, le sue impressioni e tutto ciò che vedeva.

Siamo felici di essere arrivati presto a Otranto perché così abbiamo la possibilità di visitare la Cattedrale romanica (XI-XII sec) dove venivano battezzati i crociati che partivano per le spedizioni in Terra Santa. La cripta, con le sue colonne volutamente tutte diverse è simbolo di una fede che abbraccia tutti, senza distinzione. Ma è soprattutto il grande mosaico pavimentale che cattura la nostra attenzione: un albero della vita che lega in un unicum elementi dell’antico testamento con i vangeli apocrifi, elementi bestiari con simboli dei cicli cavallereschi.  Anche se il sole è andato via è piacevole star fuori, così decidiamo di perderci tra i piccoli vicoli del centro storico, goderci un bel gelato guardando il mare, e mischiarci per un po’ ai tanti turisti in visita nel piccolo centro.

torre del serpe- otranto

torre del serpe – otranto

  1. Otranto – Vignacastrisi

Al mattino presto nel porto di Otranto siamo solo noi e i pescatori. Iniziamo a camminare verso il piccolo promontorio accanto la città, dove svetta la Torre del Serpe, simbolo stesso di Otranto. Credo che questo sia il punto dove maggiormente si ha l’idea di quanto l’Oriente sia vicino, e che forse il Mar Mediterraneo dovrebbe unire più che dividere. Ci fermiamo un po’ a guardare l’orizzonte da quassù prima di inoltrarci nuovamente nell’entroterra. Passiamo accanto il piccolo lago che si è formato nel luogo dove fino agli anni ’70 vi era una cava di Bauxite. Ora la terra rossa, con il verde smeraldo dell’acqua del lago creano un contrasto di colori unico. Ancora pochi passi e camminiamo accanto ai resti dell’Abbazia di Casole (XI-XV sec). Restano solo poche tracce, ma un tempo questa Abbazia possedeva una delle biblioteche più importanti d’Europa ed era un importante centro culturale dove i monaci amanuensi traducevano libri sacri dall’Oriente. Camminiamo alti così possiamo ancora scorgere il mare sulla nostra sinistra. Da qui possiamo anche già vedere il profilo della chiesa di Uggiano, dove siamo diretti, così imponente da dare il nome al paese. Sulla strada carraia incontriamo i resti dell’antica masseria Cippano, esempio di masseria fortificata che da più l’idea di un villaggio circondato da muretti a secco dotata di ponte levatoio, caditoie, torri di avvistamento per possibili invasioni turche, un sistema di canalizzazione delle acque e, ovviamente, una piccola chiesetta per le celebrazioni religiose. Ci godiamo una pausa caffè di fronte la chiesa al centro del paese e siamo pronti per ripartire. Prima del borgo di Cerfignano incrociamo il basolato intatto della Via Sallentina, costruita dai Messapi, e ripresa poi dai Romani, che collegava la grande Taranto, cuore della Magna Grecia, con Otranto.  Arrivati a Cocumola, vicino ad un crocicchio, facciamo una piccola pausa invogliati dalla presenza di una fontana pubblica. Arriviamo a Vignacastrisi per la sera.

masseria cippano

 

  1. Vignacastrisi – Tricase

Ripartiamo da Vignacastrisi, ma nell’aria c’è già il profumo dell’arrivo di domani a Leuca. Tra i ricordi di cammini fatti in precedenza e progetti futuri il gruppo di otto persone prosegue piacevolmente verso sud. Anche quest’oggi lasciamo fortunatamente un po’ l’asfalto per camminare su sentieri sterrati subito dopo Marittima. Siamo in un punto alto, nei pressi della Torre del Serpe, lungo quella che è chiamata la Serra del Mito, e camminiamo paralleli al mar Adriatico. Prima di arrivare a Tricase propongo una piccola deviazione per poter vedere la Quercia dei Cento Cavalieri, sulla strada che porta a Tricase Porto. Purtroppo le strade attorno la quercia non lasciano molto spazio alla visita ma la quercia è davvero maestosa: oltre 700 anni e 20 metri di altezza per il monumento arboreo più antico di tutta la Puglia. Si racconta che Federico II di ritorno dalle crociate vi trovò riparo con ben 100 cavalieri. Arriviamo a Tricase e decidiamo anche qui di regalarci un bel gelato nelle vicinanze di Palazzo Gallone, ora sede del municipio, e di visitare un po’ il paese dopo cena.

  1. Tricase – Leuca

Ultimo giorno di cammino. Lasciamo Tricase e subito entriamo nel piccolo paese di Tiggiano. Ci fermiamo un po’ per visitare il palazzo baronale, con il suo bel giardino di quasi 7mila metri quadrati con annessa torre colombaia e torre cinquecentesca. Quasi attaccato, attraversiamo Corsano; non molto distante da qui, sulle dure scogliere gli abitanti di Corsano andavano a raccogliere a piedi nudi (da qui il loro soprannome di “carcagni tosti”) il sale marino che si depositava su delle saline incavate nella roccia, alimentandone il contrabbando, grazie ai tanti piccoli tratturi nascosti tra la vegetazione, ma che per loro era sinonimo di sopravvivenza. Qualche chilometro e saliamo su una collinetta dove è situato Gagliano del Capo. Dopo una pausa ci prepariamo per il nostro arrivo alla nostra Finis Terrae. Camminiamo questi ultimi passi in una lenta discesa verso il mare e già a metà, quando ancora manca qualche metro, iniziamo ad intravedere in mezzo agli alberi di ulivo la sommità del faro bianco posto accanto al Santuario. L’arrivo è, come previsto, molto emozionante, anche perché il panorama è impagabile. Sulla destra si apre l’insenatura di Santa Maria di Leuca con il suo piccolo porticciolo, sulla sinistra il Santuario, meta ultima del pellegrinaggio per tutti i fedeli, e di fronte al noi il mare, l’orizzonte, l’Oriente.

Entriamo nel Santuario per ritirare, stanchi, fieri ed emozionati, il nostro Testimonium. Consacrato, secondo la tradizione cattolica, dallo stesso san Pietro, questo Santuario fu costruito lì dove precedentemente vi era un tempio dedicato alla dea Minerva. Più volte distrutto dalle incursioni turche e più volte restaurato, ha visto nei secoli l’aggiunta della colonna Mariana al centro della piazza, e del faro, costruito nel XIX sec. che con i suoi 47 mt è uno dei più alti d’Europa.

Ci regaliamo una lunga sosta per far decantare la bellezza del luogo, l’emozione dell’arrivo, e anche un po’ la stanchezza nelle gambe. Scendiamo verso il porticciolo dalla scalinata che costeggia la cascata monumentale dell’Acquedotto Pugliese, inaugurata nel 1939 per festeggiare la prima grande opera pubblica nel Mezzogiorno.

Ultima lenta passeggiata sul lungomare al tramonto per farci coccolare dai colori del mare al tramonto prima di cenare tutti insieme e celebrare la fine del nostro cammino.

Questi cammini religiosi sono nati in passato sulle orme dei grandi pellegrinaggi che attraversavano l’Europa e il Mediterraneo come devozione al proprio Santo, o spinti dalla propria fede. Probabilmente oggi, chi percorre questi cammini è accomunato più dal desiderio di fare un viaggio devozionale verso sé stesso o dal desiderio di avere un intenso scambio umano con altri camminatori, o semplicemente dalla voglia di una vacanza attiva e a contatto con la natura, ma la bellezza sta proprio nell’evoluzione, nell’adattamento, nella crescita personale e spirituale che queste esperienze regalano.

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