Ma alla fine, noi che città vogliamo ?

Eh ma loro hanno le strade più larghe” ci sentiamo spesso rispondere  quando facciamo notare che altrove le città, soprattutto nel centro nord Europa,  da tempo includono infrastrutture ciclabili, o comunque legate alla mobilità sostenibile, mentre da noi ancora siamo al punto di chiederci se le vogliamo o meno, o peggio, se sono davvero utili o no.

Magicamente quindi, con una semplice frase buttata lì come se fosse un intercalare come tanti, ci vediamo chiudere il dibattito sulla mobilità sostenibile. Un vezzo di pochi radical chic, giusto una fissazione moderna di chi, beato lui, non si deve svegliare tutti i giorni per andare a lavorare.

Le nostre città diventano quindi magicamente le uniche al mondo con un passato di storia, di urbanizzazione, siamo gli unici ad avere centri storici, case e quant’altro.

Come se , appena superate le Alpi, le città fossero dei grandi quadrilateri, nuovi di zecca, con strade che si intersecano perpendicolarmente, progettate da non più di un paio d’anni, quindi fresche fresche di pianificazione contemporanea, con dei boulevard a sei corsie ; grandi città dove “eh grazie che ci sono gli spazi giusti” , dove tutto è possibile, dove possono circolare, tram, autobus, biciclette, monopattini, animali, persone, aerei, perché sono città giovani, fatte da poco, quindi già pensate per tutte queste cose qui.

Ma è davvero così? Pensiamo davvero di avere solo noi città medievali, rinascimentali, con stradine strette, spesso tortuose, con sali e scendi e  con, spesso, uno squilibrio tra edificato e spazi aperti? Oppure semplicemente altri Stati hanno affrontato molto tempo prima di noi il problema di “che città vogliamo per il futuro?”.

Olanda, Francia, Germania, non sono molto distanti da noi, né tantomeno sono popolate da persone indigene appartenenti a culture, razze sovrannaturali, diametralmente opposte alle nostre. Avevano anche loro, attorno agli anni 70-80 il problema dell’inquinamento, degli spazi per le persone e i bambini via via sempre più ridotti. E soprattutto anche altrove accadeva di leggere costantemente sui giornali di incidenti avvenuti a danno di pedoni e ciclisti; di persone che uscivamo di casa per andare a lavorare, ma venivano investite, e non avendo la corazzata di metallo attorno, avevano la peggio.

E’ che ad un certo punto hanno detto “basta”. Hanno scelto di ridurre lo spazio per le auto, e di riconquistare pian piano potere sulla città. Non andare in un posto con la macchina non significa non poterci andare, giusto? Significa solo non andarci con l’autovettura. Ma con altri infiniti modi diversi. E hanno iniziato a riprogettare gli spazi urbani.

Ora, io non ero presente, ma immagino che le riluttanze e le ostilità si siano avute anche altrove (diversamente sarebbe come ipotizzare di essere l’unico popolo con delle difficoltà ad accettare il cambiamento); si sa l’uomo è sempre restìo ad uscire dalla propria comfort zone, e alla fine le nostre comodità ci sembrano quasi dei diritti acquisiti. Ma la verità è che non è più possibile pensare di poter fare il minimo spostamento sempre e solo con la propria macchina, perché siamo troppi, diciamocelo, e siamo anche concentrati tutti nelle grandi città, perché viviamo in condomini di 4, 5, 8 piani e non è possibile pensare di poter parcheggiare tutti di fronte il portone del proprio condominio. Perché se a Lecce, città dove vivo, ci sono 100.000 abitanti, tolti i minori, non potranno mai esserci 100.000 parcheggi, e certamente non concentrati tutti nelle zone del centro. Meglio non pensare che a questi numeri si aggiungono poi turisti e pendolari. Vale per Lecce, come per qualsiasi altra città.

Un passo indietro è obbligatorio. Dobbiamo solo farcene una ragione. Questo è un argomento sempre molto utilizzato e strumentalizzato soprattutto dai politici, da quelli che al bene della collettività non sono molto interessati, e che invece di essere sinceri e ragionare, alimentano e fomentano discorsi sul nulla.

 

A Friburgo, in Germania, città che per motivi familiari frequento da sempre, non sono state create corsie ciclabili perché avevano, beati loro,  strade più larghe, ma le hanno fatte diventare larghe vietando i parcheggi ai lati della carreggiata, ed ecco che si ricava spazio per le biciclette, ecco che spunta una corsia preferenziale per gli autobus (così non devono stare pure loro in mezzo alle macchine e riescono ad arrivare puntali). Ci vuole sì coraggio. Ci vuole una rottura. Per forza. Non si cambia restando fermi, né perdurando nell’errore.

Se parcheggiare su strada per un residente in una zona semi centrale a Lecce costa all’ano 100€, a Friburgo costa almeno 300€. Ed ecco che avere una macchina a testa diventa davvero un surplus, una roba per pochi. Parcheggiare nelle zone centrali in Danimarca costa 3€ all’ora o anche più. Molto spesso i centri città sono accessibili solo con mezzi pubblici e biciclette o monopattini. Se vivi lì hai diritto ad avere la macchina ovviamente, anche più di una se lo desideri, ma non a parcheggiarla per strada; devi prenderti un parcheggio nei silos.

Lo spazio antistante la propria abitazione non è una pertinenza della casa, non è proprietà privata, non spetta di diritto. E’  uno spazio che appartiene a tutti.

Non tutti vogliono andare in bici, non tutti sono “sportivoni”. GNE GNE GNE

Anche altrove prima era possibile andare in centro in macchina. Da un certo punto in poi non più; fine.

Il centro è sempre lì, non lo hanno spostato, solo che non ci vai con la macchina. D’altronde, molto coraggiosamente,  quando io andavo ancora al liceo, ricordo che da un giorno all’altro fu reso divieto fumare nei cinema, nei ristoranti, nei mezzi pubblici, etc. Nessuno si è messo a pensare “eh ma come facciamo, dobbiamo prima trovare un altro posto dove far fumare le persone prima di vietarlo, ma poverini, è una imitazione alla libertà”. Erano altri politici senza dubbio, però intanto noi ricordiamocelo, e capiamo perché alcune cose vengono dette, se per coscienza o per desiderio di voto.

Sempre a Friburgo, le zone 30 io ricordo di averle viste fin da bambina, e ho 45 anni.  Lo scarto  temporale è mostruoso. Il nostro ritardo è spaventoso.

Io non so se ci sia stato qualcuno che abbia riso all’idea, come vedo spesso fare nella mia città, o se qualcuno si sia lamentato perché questo limita il “diritto di andare a lavorare” (qualunque cosa significhi o qualunque nesso possa esserci). Davvero non so se altrove chi va in bici viene visto come uno che cazzeggia, o se la gode, eh invece io….sarebbe come pensare che in un’intera nazione come l’Olanda, non lavori praticamente nessuno!

Cos’altro? ah già la sicurezza. Non voglio affrontare il drammatico discorso sulle morti per strada di ragazzi e ragazze investiti con la bicicletta, perché mi viene davvero una tristezza infinita, ma basta pensare che si viene investiti anche se si va a piedi e si attraversa sulle strisce per capire che il problema è molto serio. Anche qui, niente di nuovo alla luce del sole. Nelle città del centro nord Europa, si va a 30km/h, punto. Si cammina adagio con la macchina propria per evitare incidenti con pedoni/ ciclisti. E le persone lavorano ugualmente, vivono, vanno nei loro uffici, giocano a tennis, vanno al supermercato. Non vivono l’andare piano come una limitazione, ma solo come prudenza verso il prossimo. Semplice. È giusto così. Vicino le scuole si va a 10km/h, vicino i parchi a 20km/h.

E i centri città? Come sono le città al nord? Morte? I commercianti che dicono? Si lamentano? Direi proprio di no. Sdoganata orami la psicocazzata che i se togli i parcheggi fai morire il commercio, (giusto noi ancora lo ripetiamo, senza forse nemmeno crederci più di tanto) le attività più redditizie le trovi proprio al centro città; negozi, pub, caffè, fanno a gara per stare nelle zone pedonali. Sono tutti pazzi? Sono forse tutti degli aspiranti falliti? Direi di no.

E queste corsie ciclabili? Con il cordolo o senza cordolo? (che mi sembra un po’ la domanda: ma l’amatriciana come la fai? con la pancetta o il guanciale?). Ora, la maggior parte delle corsie ciclabili sono senza cordolo, ma chiediamoci perché: forse per gli altri basta una striscia per terra per rispettarla. Non è necessario piantare paletti o costruire piccole montagnette di cemento per delimitare le corsie. Uno vede la striscia bianca sulla propria destra e non la invade con la propria macchinina. Bum! Semplice.

Noi siamo capaci di spendere soldi pubblici in più a causa delle pessime abitudini degli automobilisti ma poi ci lamentiamo di tutt’altro.

Permettere il “doppio senso ciclabile” è misura di ragionevolezza: la bicicletta deve accorciare le distanze, deve essere il mezzo migliore per raggiungere la nostra meta, altrimenti uno va in macchina. Le biciclette non possono seguire la segnaletica realizzata 40 anni fa per le sole automobili. Bisogna pensare ad una viabilità parallela alle auto.

E sugli incroci importanti? Dove si intersecano più strade, cambi di marcia, direzioni? Le si colora di rosso. E nessuno ci va sopra con la propria brum brum. Semplice anche qui. E si fanno le case avanzate per tutelare chi è più fragile in quel punto della città. A nessuno, sempre altrove,  tutto questo sembra un sopruso verso chi, poverino, utilizza l’auto; perché da noi accade ?

E nelle stazioni? L’inter modalità come procede? Si fanno i binari distanziati dal muro (perché altrimenti se hai le borse come fai a salirla la bici?). Basta in fondo chiedere, in fase di progettazione, a chi la usa senza dover prendere lauree in ingegneria spaziale; i comitati, le associazioni esistono per questo. Ahhh se solo gli amministratori fossero più intelligenti e non pensassero solo alle campagne elettorali!

Eh ma grazie, loro hanno i mezzi pubblici che funzionano!!” altra manfrina che ci sentiamo ripetere. Bene. iniziamo a votare chi parla di trasporto pubblico e non di parcheggi. Iniziamo ad aprire le nostre orecchie a chi parla di voler potenziare autobus, tram, metro, non perché deve fare i favori all’amico che ha l’azienda, ma a noi che dobbiamo muoversi in dieci minuti verso il nostro posto di lavoro. Perché la colpa poi è solo nostra se le cose, qui, non accadono.

La domanda finale, che forse è la più importante, a cui lascio voi rispondere è:

ma l’aria che le persone respirano in queste città, com’è?”

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