Come incipit è stato piuttosto movimentato, tanto da pensar che “ok niente può andare storto ormai”. Non arriviamo nemmeno al campo base dove allestiremo le nostre tende, che veniamo presi in pieno da un terribile acquazzone con temporale, proprio mentre attraversiamo il bosco. Mentre camminiamo tutti sigillati nelle nostre cerate con zaini pesanti sulle spalle (con tende, materassini, fornelli e cibarie varie) mi viene in mente una frase che ho letto tempo fa su di un libro di Wohlleben che recita “in caso di pioggia lascia la quercia e cerca il faggio”; e spero tanto sia vero!
Non sono mai stata una grande esperta di campeggio, ma siccome nella vita non si smette mai di imparare, e fondamentalmente, i limiti sono solo quegli scogli da superare di volta in volta con grande ironia, decido di partecipare ad un trekking di più giorni, organizzato dal mio amico Marco (@marco.tripexperience.it) e che prevede di salire sulle 5 vette più alte del Massiccio del Pollino, sopra i 2000 mslm, dormendo in tenda, totalmente autogestiti.
Lasciamo le nostre auto a Colle Impiso (nome che ricorda forse qualche episodio legato al brigantaggio) e ci inoltriamo subito nella faggeta in direzione Piani di Gaudolino seguendo il sentiero dei carbonai.
Arrivati al piano e allestito il nostro campeggio vicino al bivacco di legno, fortunatamente smette di piovere e così riusciamo a salire su Serra del Prete, 2181 mslm, per goderci un bel, seppur freddino dopo la pioggia, tramonto in vetta. Iniziamo ma sciogliere le gambe e familiarizzare con il panorama in cui saremo immersi per i prossimi 3 giorni. Un panorama “pittoresco e orrido” lo definiva nel 1929 Gina Algranati nel suo libro, riprendendo i canoni estetici tipici dei viaggiatori stranieri che, in quegli anni, davano inizio al fenomeno dell’alpinismo; pittoresco per via della preponderante presenza di alberi monumentali e boschi, e orrido perché è evidente l’attività di erosione che ha generato tra le alte vette molti canyon.
Ritornati giù allestiamo fornellini e caminetto nel bivacco e ci abbandoniamo alla nostra prima cena conviviale. Molti di noi provengono dalla provincia di Lecce, altri dalla Calabria; impariamo a conoscerci mentre beviamo vino rosso per riscaldarci.
Dormire in tenda è una esperienza azzerante. Stesi per terra – ok sul materassino, ma sempre molto più vicino all’erba che su di un letto- a sentire il fruscìo del vento, i suoni della natura, ma soprattutto lo scampanellio delle tante mucche pascolare liberamente attorno a noi, riporta un po’ al livello zero della nostra civiltà.
Senza sovrastrutture, siamo liberi. Animali nel bosco.
Lavarsi al mattino presto utilizzando la gelida acqua di montagna dell’abbeveratoio delle mucche è senz’altro un’esperienza “rigenerante”. Prendiamo coraggio e lo facciamo lo stesso.
Questa mattina ci attende prima il Monte Pollino con i suoi 2248 mslm, e dopo il Dolcedorme, 2267mlssm.
Sono tantissime le specie floreali che incontriamo mentre camminiamo (corbezzolo, vedovelle, ginestra comune, mirtillo, cisto, euforbia, e ovviamente alloro e rosmarino), a conferma del fatto che molto probabilmente il nome latino del Monte Pollino, Mons Apollineus, richiama non solo il dio del sole e della bellezza ma soprattutto della medicina, fondata allora principalmente sull’uso di erbe officinali.
Il panorama che si ha qui sul Pollino, una volta usciti dalle fitte faggete è vasto e magnifico; arriva a toccare il mar Jonio sul versante calabrese, e l’appennino Campano dall’alto.
Ritornati, ci concediamo la nostra seconda cena conviviale riscaldati dal fuoco. È settembre, fa freddo. Di giorno il sole è caldo, ma di sera il bosco stravolge tutto. Nel frattempo si sono uniti al nostro campeggio anche altre famiglie e soprattutto gruppi di Scout. Non siamo più soli su questo pianoro con le mucche al pascolo e i cavalli selvatici.
Ultimo giorno di salite: dalla grande Porta del Pollino saliamo su Serra delle Ciavole prima (2127 mslsm) e su Serra di Crispo dopo (2056mslm). Man mano che saliamo vediamo svettare gli enormi Pini Loricati, vero e proprio simbolo del Parco nazionale del Pollino. Questi alberi monumentali, sopravvissuti all’invadenza dei faggi, ma solo perché fin quassù i faggi non arrivano, sono spesso definiti “relitti botanici della preistoria”, poiché sono presenti solo nell’area balcanica e qui, a testimonianza di quando il mare Adriatico non esisteva e Balcani e penisola italica erano un tutt’uno. Il tronco è davvero possente, spesso contorto, rugoso, rivestito da una corteccia a scaglie simile alla corazza dei legionari romani, la lorica appunto. In particolare Serra di Crispo è conosciuta come il Giardino degli Dei, per via del paesaggio armonico e dolce, di pini loricati alternati a doline, pietre, rupi e fioriture che creano angoli meravigliosi.
Al rientro, dopo aver fatto fagotto delle nostre cose e rimesso tutto sulle nostre spalle, sentiamo che le gambe sono stanche. Stanche, ma felici.
Tre giorni immersi nella natura, nei colori del bosco, accompagnati dal profumo della pioggia sugli alberi e dal sole in vetta… e solo ora ci accorgiamo che dei nostri telefoni, che non sempre prendevano , non abbiamo affatto sentito la mancanza!
“Fui contento di scendere nuovamente, per raggiungere l’Altopiano del Pollino, una prateria di tipo alpino, con un laghetto rallegrato da insoliti e splendidi fiori, a 1780 metri sul livello del mare.
Nessuno che visiti queste regioni deve rinunciare alla visione di questo spazio rinchiuso tra le cime dei monti, anche se esso si trova un po’ fuori dai percorsi consueti.”
Norman Douglas